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Ci muove la consapevolezza che il benessere della società di cui facciamo parte sia fondato su modi di abitare la Terra insostenibili e iniqui, che spesso ci appaiono grottescamente autolesionistici.
Ci domandiamo come evolverà la situazione nei prossimi anni, tanto nel nostro habitat abituale – le penisole iberica e italica, l’arco latino-mediterraneo, il Vecchio Continente – quanto nell’insieme della biosfera.

Da oltre una decina di anni constatiamo che il futuro sarà molto più rischioso e incerto di quello che durante l’infanzia e la prima giovinezza si poteva generalmente ritenere nel nostro contesto sociale e geografico. Gli eventi degli ultimi mesi hanno accentuato la percezione di fragilità e consolidato l’urgenza di prepararci ai cambiamenti partendo dal nostro quotidiano, allenando l’immaginario.

La percezione del disincanto deriva anche dall’abitare a Roma, meravigliosa e decadente capitale di un Paese come l’Italia che, sebbene abbia le potenzialità di ospitare comunità umane all’avanguardia nel saper vivere nella libertà e nell’armonia, sembra abitato in prevalenza da una popolazione (tra le più ricche, “sviluppate”, anziane e longeve del mondo) che antepone il perseguimento di interessi individuali di breve periodo alla costruzione di un benessere diffuso e durevole.

Siamo preoccupati dalle crisi ambientali, dai cambiamenti climatici e dalle estinzioni di massa, dall’aumento delle disuguaglianze tra esseri umani, dagli effetti dell’iperinformazione, del modo prevalentemente distruttivo con cui la nostra specie considera e utilizza le conoscenze, le scienze, le tecnologie, le ideologie, le religioni, le istituzioni, il potere, il denaro, la proprietà, le relazioni sociali.

Siamo fiduciosi di poter acquisire e affinare strumenti e capacità utili ad affrontare queste preoccupazioni e, nella finitezza spazio-temporale delle nostre esistenze terrene, capire meglio dove collocarci e come essere, per poter magari contribuire un poco al miglioramento di un sistema – il mondo – di cui ci sentiamo parte nella sua interezza.
Nel farlo, richiamandoci al detto dei nativi americani “Non ereditiamo la terra dai nostri avi; la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela” cercheremo di associare il dovere e il piacere.

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